La rivoluzione della taglia (dei) media

 

 

Ho impiegato tre giorni per cercare di scrivere qualcosa di vagamente decente e interessante su questo articolo apparso su Repubblica a firma di Filippo Ceccarelli. Quando pensavo di aver scritto qualcosa di appena accettabile, il browser mi si è bloccato e mi è andato perso tutto lo scritto, perso nella ram che non recupera i dati.

Ma forse è stato un segno del destino. Vuoto, dannatamente vuoto è questo articolo, quanto vuota è rimasta la cache.

Dopo una premessa banalissima e ovvia sull’importanza dei vestiti di un politico e sulla loro capacità di trasmettere messaggi, il giornalista, Filippo Ceccarelli, sembra scherzarci su, utilizzando la forma “si fa presente che etc. etc.”. Questa è una tecnica abile ma superata per allontanarsi dalla responsabilità della notizia stessa. La notizia prende vita nel momento stesso in cui si dà. Quindi è impossibile non prendersi la responsabilità di darle dignità (e vita). Proprio come fanno i giornalisti televisivi: “Hanno detto che lei….”. Altra presa di distanza nell’articolo: “Fatto sta che i gironali cosiddetti di colore ci vanno a nozze”. E quindi, “ieri è entrato a sorpresa nel club del golfetto…”.

Tutto questo proprio mentre è in atto una di quelle discussioni dal sapore rivoluzionario che difficilmente potremo gustarci in diretta nel futuro prossimo. E dopo che Affari e Finanza ha pubblicato uno coinvolgente articolo di Arturo Zampaglione e Internazionale ha dedicato la copertina a “Il giornale di domani”. I giornali scompariranno o no? Quelli che rimarranno si faranno pagare o no? Banner o micro pagamento?

Golfino, o non golfino?

 

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